STORIA  DELLA TECNICA DELLO SCI ALPINO

I PIONIERI
La tecnica dello sci, evidentemente, presenta una continua evoluzione.
La fase storica di questo percorso, tuttavia, si può considerare compresa tra i primordi della disciplina, alla fine dellottocento, e la sua trasformazione in sport di massa, negli anni 70 del 900. Ogni singola tappa evolutiva è caratterizzata da un nuovo tipo di curva, messa a punto da specialisti e tradotta poi nel campo dellinsegnamento.
Il periodo eroico degli inizi va dal 1860 al 1900 circa, quando alcuni montanari di Morgedal, una valle norvegese nel distretto di Telemark, misero a punto una loro tecnica che si fece poi conoscere in tutto il mondo.
In quella zona venne organizzata la prima gara sugli sci, che consisteva nello scendere da un ripido pendio a curve veloci, tenendo in mano un bicchiere pieno di birra: veniva proclamato vincitore colui che terminava il percorso senza rovesciare il contenuto.
Prima di allora, per cambiare direzione, bisognava ricorrere a passi di giro, oppure ci si esibiva nel salto darresto: ci si appoggiava con forza su uno o due bastoni piegando le ginocchia e, successivamente, lanciando in alto le punte degli sci con un volteggio simile a quello del salto con lasta nellatletica, si ricadeva di traverso rispetto alla linea di discesa.
Questa tecnica, molto usata negli anni 15-30, richiedeva grande forza di braccia e non comune agilità. Lesecuzione per quellepoca era spettacolare. Per ridurre la velocità e fermarsi si usava la tecnica della raspa, che consiste nellesercitare più o meno pressione su un bastone usato da freno in mezzo alle gambe. Questa tecnica, ancor oggi praticata dai fondisti, venne poi perfezionata più elegantemente, usando il bastone o i bastoni di lato, con una mano sullimpugnatura e laltra più in basso.
Il telemark permise per la prima volta di affrontare un pendio, anche in neve profonda, con una sequenza di curve eleganti. I manuali dellepoca descrivono così la posizione ad angelo: busto eretto, braccia larghe e gambe leggermente genuflesse. Era la perfezione di allora! Allo sciatore principiante era sconsigliato usare il bastone, in quanto difficile da manovrare in modo corretto, anzi poteva compromettere lequilibrio.
In quegli anni si discuteva molto sulla scelta di uno o due bastoni.
Il telemark  riscoperto verso gli anni 80 dagli statunitensi come sci inginocchiato a talloni liberi  è praticato oggi come un ibrido tra la tecnica originaria e il cristiania.

LA SCUOLA AUSTRIACA
Questa tecnica elegante, però, non risultava sempre adatta sulle discese ripide e boscose delle Alpi.
Fu un austriaco, Mathias Zdarskj, patriarca dello sci moderno, a contribuire in modo decisivo al passaggio dallera del telemark a quella dello sci alpino, ideando diversi tipi di attacchi per fissare lo scarpone allo sci. Questo tenace pioniere, operando da autodidatta, sperimentò per sei anni la nuova tecnica, chiamata voltata dappoggio: sostanzialmente utilizzava uno spazzaneve effettuato con le ginocchia piegate e un solo bastone. Facendo perno su di esso alternativamente a destra e a sinistra, Zdarskj riusciva a voltare anche su pendii ripidi. Questa tecnica richiedeva la rotazione di tutto il corpo nel senso di curva per facilitare il cambiamento di direzione. Sulle Alpi nasceva dunque una tecnica capace di soppiantare quella norvegese del telemark e nel 1896 Zdarskj pubblicò il primo testo sullinsegnamento dello sci, intitolato La tecnica dello sci di Lilienfelder, dal villaggio sulle Alpi austriache dove viveva.
Le due teorie di sterzata portarono ad una rivalità che culminò con una sfida lanciata da Zdarskj. Si tenne così la prima gara di slalom della storia dello sci su un pendio di 35° di inclinazione disseminato di pali.
In palio 2000 marchi tedeschi. Nessuno accettò la sfida e Zdarskj, il primo vero maestro che la storia ricordi, continuò a mettere le basi di una tecnica che ha allevato due generazioni di sciatori.
Il terzo periodo iniziò nel 1910, con lo stemmbogen, tecnica messa a punto dal colonnello austriaco Giorgio Bilgeri, allievo di Zdarskj. Questi organizzò il primo corso di sci riservato a militari e diventò famoso oltre i confini del suo paese, sia nelle Alpi che in Inghilterra e nel Caucaso, anche perché scrisse il libro Larte dello sci nelle Alpi, che per molti anni rimase il testo più importante nel campo dellinsegnamento.
Bilgeri aveva intuito che tra lo sci alpino e lo sci norvegese potevano esserci punti in comune e perfezionò la voltata dappoggio fondendo insieme le migliori caratteristiche del telemark e la tecnica del maestro. Egli aveva compreso, soprattutto, che il movimento determinante per la curva doveva partire dagli arti inferiori; adottò i due bastoni e riuscì a migliorare gli attacchi, ottenendo un miglior controllo dellattrezzo.
Nello stemmbogen si trovano elementi che precorrono lo spazzaneve e la virata: posizione eretta del busto, sci uniti allinizio e alla fine della curva, spostamento del peso da uno sci allaltro. Questa tecnica era spesso associata al salto darresto che, con laiuto dei due bastoni, serviva, a velocità moderata, per fermarsi o per cambiare direzione.
Limportanza delle innovazioni introdotte da Bilgeri nella tecnica sciistica è evidente se si considera che, fino a una ventina di anni fa, una sorta di stemmbogen, sia pure riveduto e corretto, veniva ancora insegnato nelle scuole di sci.
Intorno al 1920 si ebbe la vera svolta storica con la diffusione del cristiania, una tecnica più idonea ai terreni alpini, più ripidi e normalmente costretti in spazi trasversali limitati. Sin dal principio questo tipo di sciata sfruttò il pendio per far derapare prima le spatole e poi le code degli sci, in modo coordinato, così da creare una curva completa.
Quando gli sci, attraversando diagonalmente un pendio, vengono messi di piatto, tendono di per sé a disporsi lungo la linea di massima pendenza. Se lo sciatore, volontariamente, aggiunge alleffetto naturale una pressione sulla parte anteriore dello sci, oppure produce una lenta sterzata con i piedi, il passaggio dalla diagonale alla massima pendenza si effettua in minor spazio. Descritta la prima metà della curva, basta invertire progressivamente la presa degli spigoli degli sci, producendo una controllata spinta verso valle delle code: la curva si completa così sulla diagonale opposta.
La curva cristiania conteneva nei suoi gesti originali alcuni principi motori che, nel corso degli anni, avrebbero dato vita alle successive tecniche sciistiche.
Protagonista incontrastato di questa innovazione fu laustriaco Hannes Schneider, sciatore polivalente nel periodo che precedette la prima guerra mondiale: egli si rese conto che con la tecnica di Bilgeri non si potevano superare che modeste velocità. Schneider, nato nel 1890 a Stuben, nella regione dellArlberg, partendo dai principi dello stemmbogen, elaborò una nuova sciata che si diffuse ben presto, rendendo celebre la sua Scuola dellArlberg.
Questa tecnica nasce per permettere agli sci di curvare con più scioltezza e sicurezza, senza perdere il controllo. Si chiamerà stemm cristiania, evoluzione dello stemmbogen di Bilgeri: un lungo diagonale, le code degli sci divaricate, ginocchia piegate, peso a valle e chiusura degli sci fino a riportarli paralleli. Schneider modificò anche gli attacchi in uso allepoca rendendoli più sicuri e facili da controllare.
Schneider rivoluzionò poi il mondo dello sci mettendo a punto il così detto cristiana strappato (reinekristiania), riuscendo a curvare con gli sci paralleli, allinizio in modo un po brusco poi sempre più perfezionato. Gli sci erano tenuti paralleli con il peso su quello più avanzato, seguiva un movimento di piegamento e distensione con un avvitamento del corpo. Su pendii ripidi veniva utilizzato un cristiania detto a forbice (scherenkristiania), dove lo sci interno era il primo a cambiare direzione, facendo così assumere agli sci una posizione a forbice. I bastoni in queste tecniche erano quasi inutilizzati. La scuola dellArlberg, fondata a St. Anton nel 1918, divenne famosa in tutto il mondo; prevedeva per la prima volta una suddivisione degli allievi in classi e una progressione di esercizi dallo spazzaneve al parallelo, principi che, pur con modifiche dettate da nuove esigenze e nuovi materiali, mantengono in parte la loro validità.
Nel 25 Schneider realizzò il primo film sulla tecnica sciistica, che permise di analizzare la successione dei movimenti fotogramma per fotogramma. Scrisse anche numerosi libri.
Il gradino successivo nella naturale evoluzione della tecnica dellArlberg sarà il parallelo puro, sogno di tutti gli sciatori: anche per questo motivo il metodo di Shneider detterà legge fino agli anni 30.
Nel 1930 Fritz Renel, prendendo spunto dalla rotazione effettuata dal busto dei pattinatori su ghiaccio, inventa la curva Renel o royal christie: gli sci sono distanti ma per la prima volta paralleli per tutta la durata della curva.
LA SCUOLA SVIZZERA
Pressapoco nello stesso periodo, gli svizzeri introdussero nella tecnica del parallelo uno stile che si potrebbe definire di posizione anziché di slancio: il treno inferiore (dal bacino alle caviglie) ruotava in senso di curva, mentre busto e spalle rimanevano immobili, rivolte a valle. Nel cristiania rapido, busto e spalle tendevano a ruotare in senso contrario alla curva, reagendo per inerzia alla rotazione delle gambe.
Certo si sarebbe guadagnato molto tempo se contro le proposte innovative degli svizzeri Giovanni Testa ed Eugenio Matthias non si fosse levata una negatività generale. Negli anni 30 essi intuirono le potenzialità di una tecnica basata sulla spinta dellanca con ripresa degli spigoli. Purtroppo pochi atleti, in quegli anni, diedero credito a tale teoria che così fu momentaneamente accantonata.
LA SCUOLA FRANCESE
Nella prima metà del 900 non era facile avere una sensibile scorrevolezza degli sci, perché la soletta era piuttosto ruvida (inizialmente di legno) e anche perché i costruttori, per evitare gli sbandamenti laterali, vi incidevano una o più scanalature.
Proprio questa scarsa scorrevolezza e la necessità di eseguire comunque frequenti e rapidi cambiamenti di direzione, portò ad inventare varie tecniche per eseguire curve di scatto e saltate.
I francesi, negli anni 30, misero a punto la ruade, che permetteva di far girare gli sci entro un raggio molto breve, cosa assai utile nello slalom e su pendii ripidi. Si piantavano i bastoncini lungo la diagonale, sollevando le code degli sci dalla neve, quindi, facendo perno sulle punte, si spostavano lateralmente le code per riprendere contatto con la neve sulla massima pendenza e chiudere la curva con un cristiania verso monte.
Questa tecnica consentiva un miglior controllo degli sci, in tutte le condizioni; in alternativa venne ideato il dérapage, che consiste nel lasciarsi scivolare lateralmente lungo pendii molto ripidi, partendo dalla posizione diagonale e rilasciando la presa degli spigoli. Ma ciò che caratterizzava la méthode française era soprattutto la rotazione che, partendo dalle spalle, si trasmetteva agli arti inferiori per far girare gli sci.
Lo scopritore della ruade e della rotazione fu Anton Seelos, nato a Seefeld nel 1911, quattro volte campione del mondo e futuro maestro di Emile Allais: la sua tecnica venne presa ad esempio per molto tempo, anche perché questo grande campione seppe sfruttarla al meglio. La sua curva aveva un raggio cortissimo, permettendo così di cambiare direzione in uno spazio assai breve, dando la possibilità di passare molto vicino alle prime porte da slalom. Infatti nel 1933, ai campionati del mondo di Innsbruck, Seelos lasciò il secondo classificato a undici secondi di distacco. Egli aveva in un certo senso modificato il tradizionale cristiania. La sua tecnica, inoltre, sfruttava moltissimo i movimenti di gambe e caviglie con notevole piegamento e distribuzione del peso su entrambi i piedi. Il busto molto avanzato accompagnava una rapida distensione, riuscendo a curvare facendo perno sulle punte degli sci in rotazione.
Questo metodo permetteva il perfetto controllo degli sci su tutti i pendii anche ripidi e accidentati. Peso in avanti, gran lavoro degli arti inferiori e riduzione al minimo di tutti gli altri movimenti del corpo: con questi nuovi principi Seelos rivoluzionò la tecnica sciistica e da allenatore gettò le basi del metodo francese, varato nel 37 e subito adottato da tutte le scuole.
Le straordinarie vittorie di Allais e Couttet, prima, ed Henry Oreiller alle Olimpiadi di St. Moritz del 48 furono il miglior veicolo per la diffusione mondiale del nuovo metodo.
Questi in seguito svilupparono una propria tecnica chiamata sci naturale, la cui base era il parallelo puro ed elaborarono una progressione di esercizi per portare il principiante a questo tipo di sciata in modo relativamente rapido: la scuola francese, infatti, non considerava lo spazzaneve un passaggio obbligato, ritenendo che uneccessiva insistenza su questo esercizio potesse ritardare lapprendimento delle tecniche più evolute. Questa posizione, confutata dalla scuola di Arlberg, fu oggetto di numerose discussioni.
Con il passare degli anni il metodo francese subì diverse modificazioni: Vuarnet e Joubert, negli anni 50, introdussero il cosiddetto appel, una rotazione appena accennata in preparazione della curva.
LA NUOVA TECNICA AUSTRIACA
Il turismo della neve aveva subito una battuta darresto nel periodo bellico e nellimmediato dopoguerra, ma negli anni 50 riprese alla grande, con la creazione di nuove stazioni sciistiche, nuovi impianti e numerose scuole di sci.
Levoluzione della tecnica sciistica, arrestatasi durante la guerra per mancanza di gare e di contatti tra i vari rappresentanti delle scuole, deve un ulteriore e decisivo salto in avanti alle idee del re dello scodinzolo, come venne soprannominato il professor Stephan Kruckenhauser. Nato a Monaco nel 1905, divenne maestro nel 27. Egli insegnò a lungo nella scuola di St. Christoph allArlberg, dove mise a punto le sue rivoluzionarie teorie. Il nuovo metodo si basava sullistinto e sulla predisposizione naturale di ogni sciatore: il centro motore dei movimenti passava dalle spalle alle anche-ginocchia-caviglie, il peso era meglio distribuito, favorendo la ricerca dellequilibrio ottimale.
La rotazione delle spalle a cui si affidavano i francesi non piaceva affatto a Kruckenhauser: sciare muovendo le gambe non si stancava mai di dire. Infatti egli spostò il movimento dalle spalle alla parte inferiore del corpo, arretrando il perno intorno a cui ruotavano gli sci. I bastoni tornano di moda e vengono utilizzati per dare ritmo alla curva e per mantenere lequilibrio.
La padronanza degli sci, in questo modo, risultava migliore, la presa di spigoli immediata. Lobiettivo era quello di ottenere il massimo effetto, in velocità e sicurezza, con il minimo sforzo, cioè con uno spostamento più contenuto del baricentro dello sciatore.
Questa tecnica, denominata sci naturale o wedeln, segnò linizio dellera dello scodinzolo e presto fu adottata anche dai francesi sotto il nome di godille. Ad essa si associava un metodo più razionale dinsegnamento e questo fece sì che molti cittadini incominciassero ad avvicinarsi allo sci. In Italia esso fu subito adottato dal coordinatore della scuola italiana, Franz Freund; atleti famosi usarono la tecnica di Kruckenhauser per raggiungere grandi risultati agonistici, quali Zeno Colò, medaglia doro in discesa libera alle Olimpiadi di Oslo nel 1952, e Toni Sailer, medaglia doro nelle tre specialità alle Olimpiadi di Cortina nel 1956.
Quando in Italia ancora non esisteva una tecnica omogenea dinsegnamento, quando ancora non era stato codificato un metodo universale che potesse essere applicato uniformemente, nelle scuole di sci i metodi dei maestri risentivano fortemente dellinfluenza delle nazioni confinanti. In Piemonte e Valle dAosta prese piede facilmente il modello francese, in Trentino-Alto Adige quello austriaco.
Tradizionalmente vi fu a lungo un certo contrasto interpretativo tra la scuola austriaca e quella francese: la prima proponeva la contro-rotazione di spalle (il contro-spalla) in opposizione alla rotazione praticata dai francesi. Gli italiani, in genere, assunsero una posizione più vicina a quella della scuola austriaca, smussandone comunque le esasperazioni.
Leo Gasperl cominciò ad avvicinarsi sia alla tecnica di Schneider che a quella francese. Passato alla guida della nazionale di sci, portò alla ribalta un grandissimo campione del tempo: Zeno Colò. Dotato di grande coraggio, Colò si fece notare soprattutto in discesa libera e con Gasperl inventò la posizione a uovo.

METODOLOGIA E DIDATTICA

APPLICATE ALLO SCI ALPINO

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Etimologicamente parlando, la “metodologia” (dal greco methodos, …via percorso), consiste in una riflessione sistematica sul “come” insegnare dei contenuti (esercizi) che avvicinano al saper sciare.
La professione di maestro di sci, attualmente, richiede un livello di qualificazione molto elevato rispetto al passato per quanto riguarda gli aspetti didattici, metodologici, psico-pedagogici e relazionali.
In questo testo, dedicato specificamente alla tecnica dello sci, queste importanti tematiche vengono considerate almeno in generale, perché è evidente la stretta connessione tra il “fare” e il “far fare”, tra l’abilità tecnica e l’insegnamento-apprendimento della stessa.
Il necessario approfondimento di queste argomentazioni, tuttavia, viene rimandato a testi più esaurienti, non ultimo quello appositamente redatto dalla FISI-CONI.
In questa sede intenzionalmente ci concentriamo sulla relazione maestro di sci – allievo, piuttosto che su quella allenatore – atleta.
Il maestro di sci, nella sua professione, si trova a dover affrontare situazioni e problemi molto diversi, dal rapporto con allievi giovanissimi o adulti al primo approccio con la disciplina, all’allenamento di giovani che praticano lo sci a livello agonistico. Qualunque sia il livello di performance dei suoi allievi, egli è, nei loro confronti, un insegnante.
Egli deve quindi possedere, oltre alla padronanza della tecnica sportiva, adeguate competenze nella metodologia dell’insegnamento: non si può dare per scontato che sia sufficiente essere ottimi sciatori per trasferire automaticamente questa maestria nella pratica didattica e farla acquisire agli allievi.
Si tratta di saper individuare e suggerire strategie efficaci per padroneggiare una serie di abilità che, nel caso dello sci alpino, sono particolarmente complesse e comprendono schemi motori che non si acquisiscono “naturalmente”.
Spesso la tecnica sciistica viene definita innaturale perché l’atteggiamento più idoneo per gestire la situazione è avanzare col corpo verso la discesa, quando il “riflesso di conservazione” suggerisce di arretrare per attutire l’urto in caso di caduta. Il superamento di questo riflesso, non dimentichiamolo, è vera abilità, difficile e lenta da acquisire, non sempre facile da conservare nelle situazioni più critiche (nebbia, pendii ripidi…).
Nella disciplina che noi insegniamo, inoltre, le variabili da padroneggiare sono molte e alcune non esclusivamente legate all’abilità tecnica, ma anche al coraggio, alla prestanza fisica e alla combinazione opportuna di queste ed altre qualità.
Di conseguenza la preparazione del maestro di sci non può prescindere da alcune competenze fondamentali:
• conoscere le specificità della disciplina
• osservare le specificità dei singoli allievi
• comunicare nel modo più efficace
• facilitare l’apprendimento motorio
• riconoscere e correggere gli errori
• sapersi autovalutare
Il rapporto d’insegnamento con gli allievi più giovani, inoltre, richiede che il maestro sappia coinvolgerli, creando un clima motivante e partecipativo.
Le competenze professionali richieste al maestro di sci sono quindi complesse e diversificate:
• competenze psico-pedagogiche, necessarie a gestire un rapporto d’insegnamento, in particolare con allievi
in età evolutiva;
• conoscenze relative alle leggi biologiche (ma anche ai fattori psicologici e sociali) che regolano il raggiungimento
e l’incremento delle capacità motorie implicate nella pratica dello sci;
• conoscenze relative alle problematiche dell’insegnamento sportivo in generale, ed in particolare a quello dei giovani sciatori.
L’insegnamento si può considerare come un’interazione continua tra allievi e maestro, al fine di facilitare l’apprendimento (nel nostro caso, l’apprendimento di un sapere motorio).
La conoscenza degli allievi da parte dell’insegnante deve avere per oggetto due aspetti fondamentali della loro personalità:
• i loro interessi e bisogni, ossia il campo delle motivazioni;
• le loro capacità motorie e intellettuali.
Poiché lo studio delle motivazioni è compito della psicologia, è evidente che un insegnante, non potendo contare nel suo lavoro quotidiano sui contributi dello psicologo, dovrà padroneggiare alcune nozioni fondamentali, relative alle tematiche della comunicazione, per sviluppare con i propri allievi un rapporto di fiducia, favorevole all’apprendimento.
È molto importante che il maestro sappia essere in sintonia con le motivazioni reali con cui un allievo si avvicina allo sci e decide di continuare a praticarlo. Solo così potrà offrirgli una situazione al tempo stesso efficace e motivante. Egli dovrà assumere il punto di vista dell’allievo e comprendere il più possibile quali siano i suoi obiettivi e le sue aspettative. Solo così avrà la possibilità di organizzare un intervento efficace, il che significa efficace “per quel particolare allievo”.
Nell’attuale contesto dello sci come sport di massa, è molto frequente la motivazione a una pratica sportiva intesa come divertimento, mentre è chiaro che la ricerca del perfezionamento tecnico e del successo agonistico riguarda prevalentemente una ristretta cerchia di atleti, appartenenti alle diverse categorie e fasce di età.
INSEGNAMENTO-APPRENDIMENTO MOTORIO
Esistono diverse interpretazioni o teorie dell’apprendimento.
Nelle ricerche più recenti si è cercato di studiarne le modalità partendo dalle situazioni reali in cui il soggetto è messo in condizione di apprendere. Si è evidenziato così che insegnare e apprendere sono due funzioni molto diverse: mentre la prima è un fenomeno di proiezione verso l’esterno, la seconda è un’esperienza che l’allievo vive in se stesso.
Si può dire che l’apprendimento è la modificazione di comportamento a seguito di un’esperienza, quindi una risposta più adatta alla soluzione di un problema, nel nostro caso sciistico-motorio.
Il maestro di sci deve possedere un solido nucleo di conoscenze su questi processi.
In particolare, avere un’idea chiara di ciò che accade in un allievo quando impara per la prima volta un movimento o una sequenza di movimenti e, successivamente, quando li perfeziona ripetendoli.
L’apprendimento delle abilità motorie non sempre è un fatto direttamente osservabile da parte del maestro, proprio perché avviene all’interno dell’allievo. Si può solo ipotizzare che l’allievo abbia appreso un’abilità osservando alcuni cambiamenti nel suo comportamento motorio. Solo se i mutamenti diventano stabili si potrà parlare di apprendimento, ma non è sempre detto che questi siano direttamente riconducibili all’insegnamento impartito. A volte, specie nel caso di allievi più giovani, è il naturale processo di sviluppo e di crescita a rendere possibili movimenti più corretti ed efficaci.
Può capitare, al contrario, che un allievo non mostri alcun cambiamento apprezzabile nelle tecniche che costituiscono l’obiettivo dell’insegnamento, o addirittura regredisca temporaneamente. In questo caso possono essere altri fattori a impedire che il processo evolutivo si manifesti nella prestazione.
È importante tener conto di queste possibilità per dare all’allievo il sostegno di cui ha bisogno, aiutandolo a non scoraggiarsi.
Si può parlare di apprendimento motorio quando i processi di controllo dell’ambiente e dell’azione della muscolatura sono gestiti in modo rapido, efficace e senza un esasperato controllo cosciente che potrebbe nuocere alla fluidità dell’insieme.
Un gesto sportivo corretto (e ancor più una buona prestazione) presuppone eventi complessi, come il controllo e l’invio di innumerevoli messaggi nervosi a diversi gruppi muscolari… Un po’ come un computer che esegue migliaia di istruzioni utilizzando un programma.
Alcuni tendono a pensare che solo un elevatissimo numero di ripetizioni possa consentire l’apprendimento dei programmi motori, ossia la memorizzazione delle sequenze di istruzioni che consentono una corretta esecuzione tecnica (come se si trattasse di imparare a memoria una poesia o una parte teatrale).
La maggior parte delle ricerche scientifiche ha però messo in evidenza che questo può essere paragonato all’apprendimento di una lingua, più che alla memorizzazione di una poesia.
Se da un lato non può esservi apprendimento motorio senza un elevato numero di ripetizioni, dall’altro è pur vero che, a volte, si possono eseguire movimenti efficaci “trasferendo” esperienze fatte in altre situazioni e addirittura in altri sport.
Apprendere uno schema motorio non significa soltanto memorizzare in modo preciso le singole istruzioni dirette ai muscoli da impegnare e le azioni che di volta in volta ne derivano, ma piuttosto imparare comportamenti motori da applicare nelle diverse situazioni.
Si tratta di una sorta di processo di astrazione e generalizzazione, paragonabile all’apprendimento di una nuova lingua, per cui, dopo un certo periodo, si è in grado di comporre frasi mai sentite o pronunciate prima,
rielaborando in modo inconscio conoscenze precedenti.
Ogni volta che si deve compiere un’azione motoria finalizzata, si mette rapidamente in atto un processo di adattamento delle esperienze precedenti alla nuova situazione: buona parte di questa elaborazione avviene senza consapevolezza da parte di chi lo realizza. La sua fase iniziale comporta una sorta di anticipazione mentale del compito da eseguire. A questa
segue la scelta del piano d’azione in base alle informazioni disponibili sulla situazione. (Ad esempio il tipo di pressione sugli spigoli degli sci per compiere una curva secondo le condizioni della neve, della pendenza della pista, della sistemazione di una porta…).
Regole del buon insegnamento, a volte assiomatiche, prescrivono di partire da esercizi semplici, con poche variabili da gestire, per proseguire affrontando situazioni gradualmente più complesse, preferendo all’inizio movimenti e piste conosciute, rispetto ad ambienti e pendii nuovi. Questa regola generale può avere le sue eccezioni: talora, infatti, si manifestano nel soggetto “blocchi di apprendimento” che determinano una stagnazione dei risultati. Queste situazioni, in certi casi, possono risolversi proprio con la somministrazione di esercitazioni più impegnative che hanno lo scopo di sollecitare nuove energie, portando ad equilibri motori più avanzati. Semplificando molto, si tratta di una “terapia d’urto” spesso necessaria per continuare a progredire.
Questa constatazione ci consente di riflettere sul fatto che non esiste un’unica metodologia valida per tutta l’utenza sciistica: in presenza di allievi prestanti e volenterosi si potranno, di fatto, “bruciare le tappe” del loro itinerario di apprendimento, mentre con soggetti timorosi e fuori forma sarà preferibile maggior cautela e gradualità nell’utilizzare esercizi adeguati al loro livello.
E’ legittimo attenuare le difficoltà ma senza annullarle, poiché si verrebbe ad eliminare un importante aspetto motivazionale legato alla soddisfazione di padroneggiarle superando la fatica e l’insuccesso; l’allievo dovrà inoltre essere aiutato a sperimentare in forma autonoma le competenze acquisite.
Compito del maestro, in ogni fase dell’apprendimento, è influenzare positivamente le capacità percettive e selettive dell’allievo nei confronti dell’ambiente esterno.
L’insegnamento della tecnica interessa tutte le fasce di età e tutti i livelli di prestazione. Il suo perfezionamento non cessa mai, e anche l’atleta evoluto deve “ripassarla” continuamente.
In quasi tutti gli sport, non escluso lo sci, il processo di formazione della tecnica è complesso e richiede l’utilizzazione di metodologie differenti che variano con i progressi delle abilità dimostrate dall’allievo.

INSEGNAMENTO AL BAMBINO

In una società dove è sempre meno diffusa l’attività sportiva giovanile praticata a livello istituzionale (scuole), una disciplina che impegni i bambini a gestire il proprio corpo all’aria aperta, divertendosi, assume una valenza che va ben al di là dell’aspetto puramente commerciale nel quale troppo spesso vediamo ridurre il mondo degli sport della neve.
Il bambino può iniziare a giocare sulla neve, utilizzando attrezzi per scivolare, già verso i tre anni. A questa età non possiamo pensare di fare un’azione didattica specifica, ma solamente operare come ‘guide’ verso la sperimentazione di un mondo ‘nuovo’ con possibilità di gioco diverse da quelle che il bambino trova in casa propria. I campi scuola rappresentano una componente importantissima in questa fase, organizzati per sviluppare capacità diverse e strutturati in modo da garantire la massima sicurezza.
Verso i 3-4 anni i bambini sono ancora troppo piccoli per poterli ‘inquadrare’ nei tempi canonici della lezione, mentre rispondono meglio ad un intervento di tipo individuale. A questa età è conveniente, all’inizio, pensare a lezioni di durata ridotta condividendole tra fratelli o amici, alternandoli tra di loro. Se la risposta sarà positiva si potrà passare alla lezione individuale di durata completa.
Dopo i 5-6 anni, quando il bambino ha già imparato a socializzare nell’ambiente scolastico, la lezione collettiva, assieme alla lezione per piccoli gruppi (fino a 5 persone), è senz’altro la più indicata.

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